C’era una volta una persona che pensava che per avere successo come copywriter freelance la via obbligata da seguire fosse quella dell’iper-esposizione.
Devi essere su Linkedin, su Instagram, su YouTube, se riesci anche su TikTok… e devi avere un piano editoriale per ognuno di questi canali. Come fai, altrimenti, a farti notare?
Quella persona ero io, e per tutta risposta (a me stessa), ho girato alla larga dai social e mi sono buttata sulle piattaforme per freelance. Che sono molto poco social, ma molto concrete.
Anni dopo, però, il dilemma si è riproposto. Mi sono chiesta: come puoi vendere un corso online senza essere iper-presente e iper-esposta su tutti i canali social possibili e immaginabili?
Come può, oggi, un copywriter freelance non essere anche un content creator sempre presente sui canali social che gli servono per ottenere visibilità e contatti?
Credimi, questa domanda mi è stata posta sempre più spesso ultimamente. E in questo blog trovi la mia risposta. Senza filtri, come sempre.
Privacy o lavoro? Il dilemma della nostra era (digitale)
Siamo tutti content creator. Anzi, siamo tutti rockstar. Sgomitiamo per l’attenzione virtuale dei nostri follower, alziamo il tiro e diventiamo sempre più chiassosi per ottenere quello che più bramiamo: gli occhi addosso.
Del resto, o così o Pomì – come diceva una famosa pubblicità, per restare in tema copywriting. Nel senso: o accumuli follower, like e messaggi privati, oppure sei destinato a fare la fame. Perché il lavoro si trova proprio là dove ci sembrerebbe meno logico cercarlo: sulle piattaforme social.
Ci devono vedere, ci devono apprezzare, ci devono idolatrare… Le vanity metrics sono il miglior biglietto da visita, anzi, l’unico che conta.
E così la nostra privacy finisce nello sgabuzzino (per non dire peggio). In questa asta al rialzo vale tutto: i selfie imbarazzanti, la foto con la nonna, le stories dalle vacanze, le istantanee del proprio gatto. L’importante è farsi seguire.
Ma ehi, fermi tutti… Fermi un attimo. Siamo davvero sicuri che funzioni così? Proprio sicuri sicuri? La preoccupazione principale di chi intraprende oggi un percorso per diventare copywriter è proprio questa.
E lo dico a ragion veduta, a valle delle tante call conoscitive che faccio regolarmente. Durante le quali, altrettanto regolarmente, ricevo queste domande:
Dovrò espormi sui social?
Dovrò interagire?Sai, i social non mi piacciono e sinceramente non vorrei dovermi trasformare in content creator…
Se ti riconosci in queste frasi, allaccia la cintura e continua a leggere. Perché ora ti racconto cosa è successo a me, che giù nella spirale ci sono finita…
Esposizione = opportunità di lavoro. Sì, ma a che costo?
All’inizio dell’avventura di Copy School, ho seguito anche io come una babbana i consigli dei “migliori”. Sì, lo ammetto senza vergogna: me ne intendevo abbastanza poco di social network, non mi piacevano e quindi non me ne interessavo molto.
Così, quando un “saggio” consiglio mi spinse a sbarcare come copywriter su Instagram perché “i clienti oggi li trovi lì”… beh, che vuoi fare? Fare uscire il consiglio dall’altro orecchio?
Avrei dovuto farlo, ma non l’ho fatto. E così, circa a metà maggio 2022, sono arrivata su Instagram con un account professionale. Prima conseguenza: fine del divertimento, nel senso che il mio account personale – sul quale condividevo foto di viaggi e natura e riflessioni più o meno profonde – è rimasto al palo.
Il che è un peccato, perché mi sarei accorta molto tempo più tardi che sacrificare passioni e interessi personali sull’altare della professione non è mai una buona idea. Nemmeno quando il sacrificio è virtuale – quell’account, che spero di far rivivere presto, nutriva la mia creatività.
Seconda conseguenza: disintegrazione di una gran fetta del mio tempo libero. Perché Instagram, così come qualsiasi altro social, è un vortice che ti aggancia e ti consuma.
Hai visto The Social Dilemma? Se ancora non l’hai fatto, ti consiglio di recuperare. Long story short: gli algoritmi dei social sono costruiti per impattare sul nostro inconscio. E coinvolgerci sempre di più.
Normale, dunque, anzi normalissimo trovarsi rapiti nel “gioco” di Instagram, o di Linkedin o di YouTube:
- Trovarsi a cercare consigli, trucchi e suggerimenti su come far crescere il numero di follower
- Finire per aumentare il numero dei contenuti che condividiamo, sempre con l’obiettivo di far crescere la nostra fanbase
- Capitolare ai piedi dell’algoritmo cancellando quella linea sottile che divide ciò che è pubblico da ciò che dovrebbe rimanere privato
Terza conseguenza: degradamento irrevocabile della mia pace mentale. Perché per quanto mi riguarda, trovarsi a pensare di programmare una gita o un’uscita in quel posto tremendamente instagrammabile può significare solo due cose: aver deposto le armi a favore dell’algoritmo ed essere arrivati a farsi condizionare decisamente troppo dal giudizio degli altri.
Il costo nascosto delle interazioni a tutti i costi
Ci ho messo un po’ a capire che tutto ciò non mi stava bene. Perché interagire è umano, nonché spesso molto piacevole, ed è facile indulgere. È facile scambiare le interazioni per vero lavoro. Seguimi…
Pochi mesi dopo aver iniziato la mia avventura con un account professionale su Instagram, condividevo ogni giorno una manciata abbondante di stories (maledetti guru, sempre loro: “È nelle storie che si vende, devi farne almeno una decina al giorno”). E i risultati arrivavano.
Risposte, interazioni, chiacchiere informali… Tante promesse. Tanti “mi piacerebbe tanto iscrivermi”. Tanto interesse, quello che oggi definisco con chiarezza “il polverone”. Quando sei molto presente su un canale social, alzi proprio un bel polverone (i famosi “DM che scoppiano“…).
Agiti le acque, le acque si muovono e ti sembra di vedere qualcosa di molto interessante sotto la superficie. Ma poi guardi bene e, se hai la fortuna di essere colpito da un lampo di coscienza, ti chiedi: ma non è che sto ammirando me stesso? Come una sorta di novello Narciso?
Beh la mia risposta è stata, in parte, sì. Metterci in scena ci piace, ma soprattutto ci piace guardare le reazioni del pubblico. E in questa dialettica possiamo anche smarrirci.
Ma poi, a fine giornata, bisogna tirare le somme. Per me è stato un processo naturale, perché un anno e pochi mesi dopo aver iniziato, non ne potevo già più.
Avevo costantemente il telefono in mano. Non mi godevo appieno la quotidianità, perché il tarlo continuo di dover fare foto utili per le stories mi tormentava. Ero anche costantemente preoccupata per i risultati, le idee da farmi venire, le interazioni da sollecitare.
Ma soprattutto c’era un terzo incomodo nella mia vita: tu.
Il piacere di tornare alla finestra. Che questa volta è chiusa
Se c’è una cosa che ho sofferto nella mia breve ma intensa esperienza come copywriter/content creator è stata l’intrusione nella mia vita privata. E bada bene, ho creato io i presupposti per questa intrusione: ho aperto io la porta, ho spalancato con le mie mani le finestre.
Salvo poi fare l’amara scoperta: quando offri un pezzo di te, alcuni stomaci saranno sazi, ma altri… ne chiederanno sempre di più. Lo sguardo panoramico sulla tua vita non basta. Certe persone, online, bramano l’illusione di conoscerti. Di poterti chiamare “amico”.
Quella, per me, è la linea sottile da non valicare. C’è una vita vera, concreta, reale, che scegli di condividere con le persone che ti accompagnano lungo il cammino. Una vita vissuta con sangue, carne e ossa.
E poi c’è la vita dei social: l’illusione di una vita vera, l’illusione di una socialità più semplice, più immediata, più easy. È stata proprio quest’ondata di socialità più semplice a schiacciarmi sugli scogli. L’impossibilità di tenerla a bada, l’esigenza di doverla continuamente alimentare, altrimenti… cosa sarebbe successo alla mia popolarità?
Beh, saltiamo subito alla conclusione, così non ti tengo sulle spine: nulla, non è successo proprio nulla di negativo. Anzi. Ho richiuso la finestra e ho tirato con forza le tende. Oggi le apro io, volentieri, quando mi sento di farlo e quando penso di aver qualcosa di interessante da condividere.
Ho scoperto che i social, o quantomeno alcuni di essi, possono essere vissuti con molta meno ansia. Con molta più riservatezza (sì, sembra un ossimoro, eppure è vero). E che le community non si reggono sul voyeurismo. Si reggono sulla condivisione di valori, veri, e non sull’urgenza di spiare nella vita di una persona.
Social e profondità non vanno d’accordo
Oggi ho una fantastica community cross-platform tenuta insieme dai valori e dagli interessi comuni: ci “frequentiamo” su Linkedin, su Facebook, nella mia newsletter e, quando possibile, di persona.
Il cuore della mia community è in Copy School: con chi ha piacere di farlo, ci vediamo due volte al mese e ci parliamo, virtualmente, anche tutti i giorni. La cosa più strabiliante e soddisfacente di tutte? L’argomento non sono mai io. Né il mio gatto, né le mie vacanze, né tantomeno quello che indosso…
Si parla di copywriting, scrittura, marketing, SEO. Si parla di cose vere e serie, ma soprattutto si parla: e ti assicuro che c’è molto più contenuto in un singolo scambio di email che in decine di DM. Perché l’abito fa il monaco e, anche se non ci sembra, il canale guida l’interazione.
Una community, una comunità di persone accomunate da interessi e valori comuni, ha bisogno di profondità. E anche se fanno rima, profondità e velocità non vanno quasi mai d’accordo.
Qualità batte quantità? Sempre. Ma non è una scelta per tutti
Ho scelto, quindi. Ho scelto di esserci solo sui canali che mi piace frequentare, ma soprattutto tramite i quali credo di poter condividere un contenuto di valore.
Ho scelto di puntare sulla qualità, non sulla quantità: quando invio un’email, quando pubblico qualcosa su Linkedin o su YouTube (spoiler: presto ritorno con contenuti nuovi), quel contenuto ha già superato un primo filtro. È qualcosa di valore, altrimenti non avrebbe mai visto la luce del giorno.
E fino a prova contraria – che credo non ci sarà mai – le cose di valore richiedono un certo tempo per essere ideate e realizzate. Roma non è stata costruita in un giorno e nessuno si aspetta che tu ci riesca.
Già, torniamo a te. Ti avevo promesso una risposta a inizio articolo, in parte l’avrai già trovata ma ora mettiamo un po’ di concetti nero su bianco. Ecco 4 consigli finali per scegliere se e come buttarti in un’avventura da content creator per lanciare la tua carriera da copywriter freelance:
1. Content creator per forza? Anche no, grazie
Se l’idea di creare contenuti per un canale social e di esporti in prima persona ti fa venire i sudori freddi, non è scritto da nessuna parte che tu debba farlo per forza. Creare contenuti è oneroso in termini di tempo e può esserlo anche emotivamente. Ma soprattutto, non è il modo migliore per trovare clienti come copywriter freelance. Anzi!
Usare i canali social per fare inbound marketing è una scelta che puoi fare anche in un secondo momento, perché non è la via più veloce e proficua per trovare occasioni di lavoro. In termini di rapporto tempo/efficacia, le piattaforme per freelance, l’outreach e il passaparola sono tutte scelte migliori.
2. La creazione di contenuti non si esaurisce sui social
Vuoi far parlare di te, crearti una community e posizionarti all’interno della tua nicchia? Puoi servirti dei social, certo, ma… hai mai sentito parlare di newsletter, blog e podcast? Giusto per citare tre strumenti che possono realmente diventare tre asset solidi in tuo possesso, in grado di garantirti opportunità lavorative per molti anni a venire (non esagero).
3. C’è social e social. E le dinamiche non vanno sottovalutate
Ti ho raccontato della mia non proprio idilliaca esperienza con Instagram, ma su Linkedin o YouTube non ho (quasi!) niente di male da dire. Questo perché ognuno di noi deve trovare il canale giusto per sé, più adatto ai suoi obiettivi professionali, in primis, ma anche alla sua personalità.
Ma a prescindere dal canale, serve consapevolezza riguardo alle dinamiche che governano qualsiasi social network: lo ripeto e lo ripeto in grassetto, tieni conto di quanto tempo e quanta privacy perderai nel momento in cui decidi di “metterti” su un social. Anche perché esserci in maniera sciatta, ovvero pubblicando quel che capita quando capita, non serve a nulla se non ad appagare il proprio ego.
4. Qualità batte quantità anche a livello strategico: mai improvvisare
Potrei farti almeno una manciata di nomi di studenti di Copy School che negli ultimi mesi hanno ottenuto clienti tramite Linkedin. Ma c’è anche chi ha trovato occasioni di lavoro tramite la propria newsletter e il proprio canale Instagram. Questo per dire: se vuoi essere social, se vuoi mettere i piedi nelle scarpe del content creator almeno un po’, le ricompense possono essere gustose.
Ma per ottenerle, non puoi improvvisare. La presenza su qualsiasi canale social deve essere pianificata e attuata in maniera strategica, sia a livello di posizionamento sia a livello di singolo contenuto. E questo richiede tempo, voglia e costanza: se ce le hai bene, se ti mancano non fartene un cruccio. Puoi iniziare a lavorare come copywriter senza essere presente e attivo sui social.
Qual è il tuo rapporto con i social? Li usi, te ne servi per trovare clienti o l’idea di doverti esporre ti blocca? Ti aspetto qui sotto nei commenti.
Ciao Anna! Ecco dov’eri…
Concordo al 100%, con me sfondi una porta, anzi una finestra già spalancata (solo per questo argomento) da almeno 2 anni e sono le tue conclusioni mi risuonano un sacco. Sai che la maggior parte delle volte che provo a scrivere un contenuto per dare costanza alla mia presenza online mi devo sforzare? È ben diverso quando lo faccio perché sono ispirata.
Chi scrive, lo sai, non è una copywriter, quindi penso che questi tuoi vissuti possono essere trasversali. Un caro saluto.
Penso che la chiave stia nel trovare un equilibrio. Qualsiasi situazione non equilibrata, alla lunga, lascia il segno. È stato così per me e potrebbe essere così anche per te.
Però devo dire che avere una strategia mirata e che mi soddisfa mi aiuta a essere costante e a non sentire il peso di creare e pubblicare.
Ovviamente la strategia è tagliata su misura dei miei ritmi… Non mi impongo granché, ecco 😊
Cara Anna, GRAZIE! Sono in arretrato di alcune tue mail, ma appena ho letto l’oggetto di quella che rimandava a questo articolo non ho potuto non aprirla subito… e leggere tutto d’un fiato. Ho cominciato su LinkedIn a dicembre e mi sono rivista moltissimo in ciò che scrivi. Mi prende così tanto tempo e così tanta forza mentale! A volte sembra che si muova qualcosa, ma sinceramente non so se sia la strada giusta per me. Pubblico in modo strategico e sempre contenuti di valore… ma ne vale la pena? Finora no. Forse è ora di valutare altre strade.
…allora non perderti la prossima Masterclass (spoiler)!
Battute a parte, se ne valga o meno la pena lo puoi sapere solo tu, perché i fattori da valutare sono parecchi. Se avrai voglia ne parleremo.
Personalmente, per me ne vale la pena. Ogni tanto mi pesa comunque? Sì, ma ho trovato un buon equilibrio. E questo significa anche che essere su Linkedin non assorbe molte delle mie forze mentali.
Ecco forse potresti ragionare su questo, ovvero su come rendere più efficiente e sostenibile per te il tutto…
Pazzesco! Era esattamente il post (e la mail, stamattina) che inconsciamente stavo aspettando! Sto impazzendo in queste ultime settimane, ho cambiato tutte le carte del mio “business” online, ho iniziato a pensare di rivoluzionare la nicchia, ho fatto e disfatto più versioni del blog personale. Da ieri penso di aver trovato la quadra. Credo fortemente nel blogging e nello strumento newsletter. I social li amo ma per divertimento, per le cose che voglio condividere di mia spontanea volotà. Mi stressa dover per forza fare tot reels e di quel tipo, caroselli come se non ci fosse un domani e poi caption studiate. Per non parlare dei funnel. Mi stressa e mi sembra di voler stressare le persone bombardate da messaggi simili. Questo post è una boccata di ossigeno. GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE Anna, come vedi non sei la sola a pensarla così. Adesso lo so anch’io e so di non essere sbagliato per questo!
“Mi stressa e mi sembra di voler stressare le persone”: ecco, ci hai preso con questa frase!
Condivido il tuo pensiero, blog e newsletter sono proprio un’altra cosa. Però, come ho scritto nel blog, ritengo possibile trovare un proprio equilibrio su un canale social (o più), un equilibrio che non contempli stress, ansie o forzature.
Mi fa molto piacere che tu ti sia potuto riconoscere in questo post, scriverlo è stata una boccata di ossigeno anche per me, davvero 🙂
Anna, mi è piaciuto tanto questo contenuto e mi sono chiesta spesso se le due cose fossero correlate.
Ora ho trovato la risposta!
Nonostante a me i contenuti social piacciano, effettivamente non è necessario essere un content creator per essere copywriter.
Penso che appunto pubblicare content sia una scelta strategica del copywriter che magari decide di utilizzare ad esempio Instagram come canale.
Ma non obbligatorio ecco.
Un saluto!
Assolutamente, soprattutto all’inizio. Ci sono modi più veloci, più semplici e più proficui per trovare occasioni di lavoro, che non prevedono la necessità di esporsi e/o costruire un brand.
Poi certo, i social offrono un sacco di opportunità, ma come dici tu è una scelta strategica che chi vuole fa, chi non vuole no.
Ciao Anna,
Con questo articolo tocchi proprio un nervo scoperto. Se stai muovendo i primi passi il pensiero di “dover essere sui social”, di esporsi e mostrarsi costantemente aumenta e di molto i dubbi; per una persona timida tutto ciò poi rischia di aumentare la pressione. Non solo se sei agli inizi ti senti esaminato per le tue competenze, per quello che sai fare o non sai fare, ma rischi di sentirti giudicato come persona, nel privato che di fatto devi mostrare lasciando sempre una finestra aperta sulla tua vita, bel dilemma.
Perché poi, mostri quello che ti piace o quello che pensi che agli altri possa piacere?…🤯
Ti risponderei che il 99% delle persone mostra quello che pensa che agli altri possa piacere… e non penso che mi sbaglierei di tanto!
Ti capisco Marco, da persona tendenzialmente timida e anche un po’ introversa non è stato facile nemmeno per me aggiungere questa dimensione alla mia vita lavorativa.
Ma oggi, dopo gli scivoloni, sono convinta che si possa trovare la giusta misura. Il “segreto” è tutto lì.